Racconto erotico – Fabia, la nuova padrona di Milano

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Fabia, la nuova padrona di Milano

Dalla Dotta alla Madonnina

Fabia aveva lasciato Bologna senza rimpianti. Troppa routine, troppi sguardi ormai abituati alla sua bellezza trasgressiva. Voleva ricominciare in una città dove tutto è possibile, dove nessuno giudica e il peccato ha l’eleganza dei grattacieli: Milano.

Appena arrivata, affittò un bilocale in zona Porta Venezia, tra i locali gay più attivi della città e le boutique più raffinate. Fabia era una trans, e non una qualsiasi. Curve da urlo, eleganza innata, sguardo dominante. A Bologna era una leggenda tra gli appassionati di giochi estremi. A Milano, avrebbe scritto una nuova pagina.

Di giorno si presentava come consulente in uno studio marketing. Di notte… apriva le porte del suo profilo privato come trans alla linea erotica, dove offriva qualcosa di diverso: esperienze di dominazione reale, per chi era pronto a pagare il giusto prezzo per sentirsi usato, comandato, sottomesso.

Un incontro al parco

Una domenica mattina, mentre passeggiava con indosso un paio di stivali al ginocchio e una lunga giacca in pelle, Fabia si sedette su una panchina del Parco Montanelli. Gambe accavallate, sigaretta tra le dita, occhiali scuri. Inaccessibile. Irresistibile.

Un ragazzo si avvicinò. Aveva poco più di trent’anni, aria nervosa, maglietta nera e jeans stretti. La guardò. E poi guardò i suoi stivali. E poi di nuovo gli occhi.

“Ti posso chiedere una cosa?” chiese timidamente.

“Parla,” rispose Fabia, senza nemmeno toglierle gli occhiali.

“Sei… padrona?”

Fabia sorrise appena. “Dipende. Sei uno schiavo?”

Lui abbassò lo sguardo. “Sì.”

Il patto

Fabia lo invitò a seguirla a casa. Nessuna parola in più. Solo un comando: “In ginocchio appena entri.”
Lui obbedì. Non esitò nemmeno un secondo.

Sul parquet del soggiorno, lo schiavo — si faceva chiamare Marco — si inginocchiò in silenzio. Fabia si tolse la giacca, rivelando un body in latex nero che le aderiva come una seconda pelle. Non indossava mutandine. E il suo membro semi-eretto pulsava lento, elegante, tra le gambe.

“Se vuoi restare,” disse, “pagherai. Ogni visita. Ogni ordine. Ogni tocco. Io non faccio beneficenza. Io ti distruggo, ti umilio, ti educo. E lo farai con il portafogli aperto.”

Marco annuì. “Ho soldi. Ma ho più voglia di appartenerle.”

Fabia si avvicinò, sollevò un piede e lo posò sulla bocca di lui.

“Allora comincia a baciarmi. Dallo stivale in su.”

Inizia l’addestramento

Nei giorni successivi, Marco divenne lo schiavo personale di Fabia. Ogni sessione era pagata. Puntualmente. Senza discussioni. Lei teneva traccia di tutto con un’app per escort. Ricevute, durate, extra.

Il primo giorno lo costrinse a leccare i suoi stivali lucidi per mezz’ora. Poi gli ordinò di spogliarsi, indossare un collare, e stare a quattro zampe mentre lei lo insultava con disprezzo raffinato.

“Tu non sei un uomo. Sei un oggetto. Uno zerbino. Il mio tappetino.”

Marco piangeva. E tremava di piacere.

Un’altra volta, Fabia si fece trovare seduta sul divano con il suo membro fuori. “Se vuoi essere utile, usami la bocca. E se fai schifo, non ti pago.”

Gioco e commercio

Fabia sapeva dosare tutto: parole, schiaffi, carezze, punizioni. Ogni cosa aveva un prezzo:

  • Una sessione con solo sottomissione verbale: 100 euro
  • Sessione con pied worship e frustate: 200 euro
  • Sessione completa con penetrazione passiva: 300 euro

E Marco pagava. Ogni volta. Senza fiatare.

Un giorno le chiese: “Posso farti un regalo?”

Lei rise. “Vuoi comprare il privilegio di essere mio regalo? Allora porta 500 euro. E forse ti farò dormire ai miei piedi mentre mi tocco pensando ad altri uomini migliori di te.”

Lui lo fece.

Quella notte, dormì nudo sul tappeto. Fabia si masturbò sul letto, toccandosi lentamente mentre guardava lo schiavo addormentato. Quando venne, lo fece gocciolare sulla sua schiena. “Un po’ di umiliazione notturna. Domani pulisci con la lingua.”

Una chiamata bollente

Durante una serata tranquilla, Fabia accese la linea dove lavorava come trans al telefono erotico. Il cliente dall’altro lato era agitato, sottomesso, curioso.

“Cosa indossi?” chiese lui.

“Latex. Tacchi. E ho il mio schiavo qui in ginocchio, nudo, in attesa di ricevere ordini.”

“È vero?” ansimò l’uomo.

Fabia sorrise, si voltò verso Marco, e gli sussurrò: “Dì al telefono cosa sei.”

Marco si avvicinò e disse con voce rotta: “Sono il suo zerbino. E pago per essere calpestato.”

Il cliente venne quasi subito, con un urlo. E Fabia, con uno sguardo gelido, chiuse la chiamata.

“Schiavo,” disse, “ho guadagnato 70 euro. E tu? Solo la mia disprezzata attenzione.”

Dominazione senza fine

Fabia non si legava. Non si affezionava. Marco era utile, fedele, e completamente nelle sue mani. Un giorno lo portò a un club privato BDSM in zona San Siro, dove lo fece sfilare nudo, incappucciato, tra altri dominanti.

“Lui è mio. Chi vuole usarlo, paga me.”

Divenne un oggetto da vetrina. E Marco, felice, continuava a pagare.

Il potere della dominazione

Per Fabia non era solo sesso. Era potere. La sua identità di trans, che un tempo le aveva portato vergogna e domande, ora era la chiave del dominio. Una donna con un’arma in più. Una padrona con un segreto tra le gambe e una voce che stordiva.

Ogni sera, prima di dormire, si toccava pensando a quanto era potente. E ogni tanto, tra una sessione reale e una telefonica, sussurrava nella cornetta:

“Sono Fabia, la tua trans al telefono erotico. E se vuoi appartenere a me… preparati a perdere tutto.”

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