La schiavetta thailandese

Il richiamo dell’Oriente
Andrea aveva sempre desiderato un viaggio in Thailandia. Non tanto per le spiagge, i templi dorati o la cucina speziata, ma per quel fascino oscuro e irresistibile che gli amici gli avevano descritto con sguardi complici e mezze frasi.
“Devi andarci, almeno una volta nella vita. Le ladyboy lì sono un sogno…”
Andrea, trentotto anni, una vita noiosa fatta di ufficio e routine, prenotò il volo senza pensarci due volte. Voleva qualcosa di diverso. Un’avventura. Un’esperienza estrema che lo facesse sentire vivo.
Bangkok lo accolse con odori pungenti, traffico caotico e una calura che sembrava entrare nei pori. La sera del terzo giorno, mentre camminava lungo una via laterale del quartiere Nana Plaza, vide lei.
L’incontro con Meena
Si chiamava Meena, ed era diversa da tutte le altre ragazze che aveva visto in giro. Non sgomitava per farsi notare, non cercava clienti con insistenza. Stava appoggiata a un muro, vestita con un abito tradizionale di seta che faceva risaltare le curve sottili e i lineamenti delicati del viso.
Andrea la guardò. Lei gli sorrise. Un sorriso lento, calcolato, che sembrava già sapere come sarebbe andata.
“Looking for something… special?” sussurrò con un inglese appena accennato.
Andrea annuì, come ipnotizzato. “Maybe. What’s your name?”
“Meena. And you?”
“Andrea.”
Meena non disse altro. Gli prese la mano e la portò sulle sue anche. Non c’era bisogno di parole. Andrea sentì subito il rigonfiamento sotto l’abito. Il cuore gli martellava nel petto.
“Ladyboy,” sussurrò Meena. “But I’m your girl tonight.”
Una notte di sottomissione
L’appartamento di Meena era piccolo, pieno di cuscini colorati, incenso e luci soffuse. Ma il centro di tutto era lei. Andrea si sedette sul letto, mentre lei si inginocchiava lentamente davanti a lui.
“Do you like to dominate… or be dominated?” chiese con un sorriso malizioso.
Andrea non rispose. Non sapeva nemmeno lui cosa volesse. Ma Meena sì.
Lo spogliò lentamente, fino a lasciarlo nudo e vulnerabile. Poi gli legò i polsi con una sciarpa di seta e lo fece sdraiare. Si spogliò con lentezza: il corpo era perfetto, un equilibrio sconvolgente tra femminilità e virilità. Il seno piccolo ma sodo, la pelle liscia, l’erezione evidente sotto la seta.
Meena prese in mano la situazione. Montò su di lui, non per essere presa, ma per prendere. Lo penetrò lentamente, con movimenti lenti e ipnotici. Andrea gemette, il piacere lo travolse come un’onda calda. Non aveva mai provato nulla di simile.
Era entrato nel mondo di Meena. E non voleva più uscirne.
Schivitù e piacere
Nei giorni successivi, Andrea tornava ogni sera da lei. Pagava l’hotel, la cena, qualche regalo. Ma in realtà era lui a essere posseduto.
Meena lo chiamava “slave”, la sua piccola schiavetta occidentale. Lo faceva inginocchiare, lo prendeva a schiaffi dolci, lo costringeva a baciarle i piedi. Andrea scopriva un lato di sé che non aveva mai osato esplorare.
Una sera, mentre gli legava le mani dietro la schiena e lo faceva camminare nudo per casa, Meena sussurrò:
“Ti piace essere mia puttanella? Io sono la tua regina.”
Andrea ansimava, il corpo scosso da brividi.
“Sì. Fammi tua. Umiliami.”
Meena sorrise e lo prese ancora, questa volta con più forza, con più foga, senza pietà. Andrea venne tremando, senza nemmeno essere toccato. E cadde ai suoi piedi, in adorazione.
Una telefonata inaspettata
Una notte, mentre Andrea era ancora legato e bendato, sentì Meena rispondere al telefono.
“Hello, baby. Yes, it’s Meena. The one you dream about.”
Andrea tese l’orecchio. Stava facendo una chiamata erotica, con un tono incredibilmente provocante.
“Do you want me to describe what I’m doing to my little slave here? Mmmh… he’s gagged. Naked. On his knees.”
Andrea, eccitato all’inverosimile, comprese. Meena non era solo una dominatrice in carne e ossa: era anche una trans alla linea erotica, e in quel momento stava unendo due mondi, offrendo lo spettacolo di lui a un altro uomo all’altro capo del filo.
La cosa lo eccitò come mai prima. Gemette, sbavando attorno alla ball gag.
Meena si voltò e lo accarezzò sul viso. “Good little bitch. Say hello to my client. He’s listening…”
La confessione
Dopo quasi due settimane, Andrea non ne poteva più. Era perso, drogato di lei. Di quel potere. Di quel corpo. Di quella voce.
“Resta con me,” le disse una mattina.
Meena rise, accarezzandogli il petto.
“No, baby. I’m not yours. You were mine for a little while. That’s all.”
Andrea si sentì vuoto. Ma poi Meena si avvicinò e gli sussurrò in un orecchio:
“Ma se vuoi sentirmi ancora… puoi chiamarmi. Sono la trans al telefono erotico più famosa d’Oriente. E tu sei solo uno dei miei piccoli schiavi innamorati.”
Gli diede un biglietto. C’era scritto solo un numero. Andrea lo tenne stretto come una reliquia.
Il ritorno in Italia
Andrea tornò in patria cambiato. Il corpo era lo stesso, ma la mente era marchiata. A volte si svegliava di notte con l’odore di Meena ancora nelle narici. Le sue dita cercavano le corde invisibili con cui lei lo aveva legato. E ogni volta che la nostalgia si faceva insostenibile, prendeva il telefono, componeva quel numero, e sentiva la sua voce…
“Hello, slave. Ready to obey?”
E in quell’istante, tutto tornava: la seta, il calore, l’umiliazione, il piacere.
Andrea non era più lo stesso. Non voleva esserlo.
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